Diversamente liberi n. 107-108 Aprile-Maggio

Ancora un numero doppio che rappresenta la piena maturità di questo giornale: i suoi redattori, che ironicamente chiamiamo “ancora liberi”, curano rubriche informative, comunicative, riflessive e culturali, mentre quelli che “sono già in carcere” ci offrono pillole di umanità spesso commoventi e sempre significative di una vitalità che continua a dare il meglio di sé “da dentro”, pronta a rifiorire pienamente di fronte a proposte di laboratori o nel riavvicinarsi della libertà verso l’esterno. Partiamo da Benedetta Avagliano che, nella sua intervista ad Andrea Sansoni, ci racconta di come egli cerchi di offrire a tanti disabili come lui la possibilità di fare trekking di montagna estendendo l’uso della joelette, una carrozzina speciale pensata per sentieri impervi; poi Manuela Botticelli, che spazia fra astrologia ed astronomia, racconta la settimana del Design di Milano e, a partire dalle suggestioni della giornata dedicata al sommo poeta Dante, descrive la ricerca di tracce dell’italiano nelle lingue del mondo, molto attuale in un’epoca in cui le lingue straniere si infiltrano fra loro e specialmente nella nostra, con uno sguardo a questo punto necessario alla purezza della nostra lingua, salvaguardata dall’Accademia della Crusca. Il tutto viene inframmezzato dalle riflessioni sempre un po’ filosofiche di Antonio Falco, che da una parte si chiede il senso della fede, vista dalle periferie del mondo, denunciando in altro articolo l’ideologia della prestazione e rimarcando la necessità “di non lasciarsi schiacciare”. Poi i pensieri di Pasquale Federico, che a partire dalla tradizione di brindare ripensa all’evoluzione delle scimmie e alle ipotesi su come i primi ominidi abbiano imparato a incontrare e metabolizzare le fermentazioni alcoliche, scoprendone gli effetti gradevoli… fino a paragonare l’osservazione delle stelle (e la scomparsa della loro luce nei buchi neri) alla vita della reclusione, in cui appare come una luce anche lo studio dei volatili, proposta dai volontari ambientali della LIPU. Adriano Marcello usa la metafora della luce, invece, per parlare dell’importanza di suo figlio e del meraviglioso legame che l’avvicina per sempre al padre, anche nella distanza dovuta alla detenzione. Mario Menichini, oltre a una serie di pensieri dedicati alla necessità di coltivare idee di qualità, si apre a un ripensamento agli anni passati in carcere, lontano dai mezzi tecnologici, riscoprendo per forza di cose il valore della carta per scrivere pensieri e soprattutto lettere: racconta del mondo del carcere, che credeva fosse chiuso anche verso la cultura e si mostra grato al fatto di aver potuto coltivare quella parte “lenta” della conoscenza e della comunicazione, con tutte le sue emozioni. Il punto più amaro di questa rivista è quello dei numeri del carcere, in cui stavolta parliamo di “recidiva”, cioè il ritorno di detenuti che ripetono reati: salta all’occhio l’arretramento inspiegabile dell’Italia, forse spiegato dal fatto che la recidiva diminuisce drasticamente tra quanti vengono accompagnati al lavoro, una indicazione chiara di quale può essere la svolta nella vita di un detenuto e anche in una concezione di detenzione intesa a sottrarre davvero le persone alla delinquenza e alla strada. Gennaro Capone ci porta a Corbara, descrivendola in maniera pittoresca sia geograficamente sia antropologicamente, nei giorni delle feste patronali. Infine va ricordata la rubrica di Ivano Ciminari, con l’aroma del mare come suggestivo luogo della sua Salerno, che nelle sue parole sembra avere un’anima propria; ancora nel mare, anzi, nelle profondità di esso e dell’amicizia con Gino, pescatore di Santa Maria di Castellabate, Laura Ruggiero e Giovanni Pigneri ci accompagnano con parole dolci (e foto assai suggestive) a visitare una statua sottomarina della Madonna che rende sacro questo luogo e questo ricordo; infine Fulvio Mesolella, nella sua rubrica dedicata a persone speciali, stavolta ci presenta una storia dolce e inquietante degli anni ‘70, parlando dell’amore nato fra Rosaria e un prete, Renato: sebbene interrotta dalla morte di lui, questa storia arriva ai giorni nostri grazie alla forza di donne come lei, con una riflessione molto attuale sul protagonismo femminile nella Chiesa a partire dalla vita della diocesi di Napoli.
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